Omnia vanitas

di Antonio Guccione

A cura di Angelo Crespi

Una teoria di teschi per un ambizioso progetto di frenologia post moderna, tra citazionismo e divertissement, i personaggi della storia, della moda, dell’arte immortalati per sempre attraverso il loro cranio, morti eppure così vivi nella loro essenza, nel bulbo scavato dell’occipite l’anima per sempre volata via, eppure ancora presenti e riconoscibili nei tic, nei vezzi, nei loro abiti di uomini.

E’ questo il senso di una sorta di esposizione-performance, progettata da Antonio Guccione, per Hammer Partners in occasione di WopArt 2019, e che raccoglie la serie delle “Vanitas”, presentandole come in un’antologia di Spoon River, in cui il famoso fotografo milanese racconta quasi in forma di breve epitaffio i miti del pop, da Andy Warhol a Napoleone, passando per Frida Kahlo, Leonardo da Vinci, Dior e Salvato Dalì.

Se nel corso della sua lunga carriera, Guccione si era concentrato sui volti dello star system, diventando una sorta di ritrattista ufficiale del mondo della moda, in questo caso ha lasciato i vivi, per dedicarsi ai defunti: nel tentativo di esorcizzare la morte, sulla scorta d’altronde dei più grandi artisti di tutti i secoli, ha rivestito o dipinto il simbolo di essa più persistente, cioè il teschio, giocando come un novello Amleto tra essere e non essere, e lo ha poi fotografato senza alcun intervento in post produzione, riuscendo però a distillare, in splendide levigatissime immagini, l’estrema reliquia che caratterizza le varie icone passate in rassegna, cioè quella cosa estrema che ci rappresenterà in eterno.

“Memento mori”, ricordati che devi morire, sembra dirci Guccione, ma sempre con la sottile ironia e la leggerezza che gli sono proprie, perché anche per dipartire ci vuole stile.

Mostra sponsorizzata da Gruppo Hammer

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